Il tasso di disoccupazione in Italia, la notizia è di qualche giorno fa, è sceso al 12% e immediatamente Renzi ha rilasciato le solite dichiarazioni in cui ne attribuisce il merito al jobs act ed ai provvedimenti del suo governo. Sembra quasi che tutti gli italiani debbano rallegrarsi e ringraziare il premier per il solo fatto di esistere. In realtà la situazione è più complicata di quanto possa sembrare e penso che i nostri politici, almeno quelli più attenti ed informati, lo sanno. Senza stare a discutere sulle varie teorie, non considerando cicli più o meno lunghi in cui il tasso di disoccupazione può scendere, assistiamo ad un trend di lunga durata in cui tale tasso è destinato a crescere. Questo, come già sta avvenendo porterà i governi e i datori di lavoro, a limitare i diritti acquisiti dai lavoratori negli anni Sessanta e Settanta e a comprimere le retribuzioni. Il motivo sembrerebbe, ed è senz’altro vero, la crescente automazione della produzione e dei servizi. Negli anni Sessanta, per gestire un’azienda commerciale con 10-15 dipendenti, occorrevano 3-4 addetti all’amministrazione. Oggi ne basta uno, magari part-time. Nelle fabbriche si produce con sempre meno personale, ma lo stesso vale anche per l’agricoltura. Di questo passo arriveremo a livelli di disoccupazione preoccupanti, tanto più, che, come è accaduto tra il 2008 ed il 2014, i consumi si sono ridotti e molti imprenditori per ridurre i costi si sono trasferiti in posti dove la manodopera costa meno. E allora, che fare? Lasciare andare le cose così come vanno ora? Lasciare le responsabilità ai governi che si sono succeduti e si succederanno? Dopotutto i nostri rappresentanti sono stati eletti in libere elezioni e comunque non so se riuscirebbero a migliorare una situazione che non interessa solo l’Italia. Occorre perciò passare ad un altro tipo di economia, più solidale, più attenta alle esigenze umane, che avrebbe implicazioni positive anche sulla nostra salute grazie alle minori situazioni di stress che si vivrebbero. Un passaggio dall’agricoltura intensiva di oggi all’agricoltura biologica e biodinamica, oltre ad eliminare l’uso dei pesticidi, darebbe lavoro a molte più persone rispetto ad oggi; uno sviluppo dell’artigianato, sostenuto da idonee scuole professionali, permetterebbe l’immissione sul mercato di nuova forza lavoro e di una produzione di qualità;
l’utilizzo di internet per le attività di consulenza, per promuovere le attività artistiche, cosa che già avviene parzialmente, potenzierebbe il settore legato alla creatività. Le fabbriche continuerebbero ad operare, con più automazione e meno dipendenti, magari (di questi tempi si può dire?) riducendo gli orari di lavoro per evitare di licenziare (ma mantenendo i livelli retributivi), ma ci sarebbero anche tanti lavoratori, anche autonomi, che acquisterebbero i prodotti delle industrie. Per fare questo però occorre qualcosa. L’art. 36 della Costituzione italiana dice testualmente:
“Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa.
La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge.
Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi.”
Ora, secondo me il significato è questo. Chi lavora, e solo chi lavora deve avere una retribuzione che consenta un’esistenza libera e dignitosa, anche alla propria famiglia. In una famiglia in cui uno solo lavora, lo stipendio è sufficiente a vivere una vita dignitosa e libera? E se non lo fosse, la differenza chi la dà, il datore di lavoro? No, deve darla lo Stato, visto che si tratta di un dettato costituzionale e che non si può porre a carico del datore del lavoro altrimenti diventerebbe un’ulteriore imposta per quest’ultimo. E lo Stato interviene, ma in maniere insufficiente. Gli assegni per il nucleo familiare molte volte non bastano ad integrare il reddito per fare in modo che la famiglia viva una vita dignitosa e libera. E chi è disoccupato, chi non è riuscito mai a lavorare? Apparentemente l’articolo 36 esclude queste persone, ma interviene l’articolo 3 che recita:
“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”
Siccome tutti i cittadini sono uguali, ne discende che anche chi non lavora sono estesi i diritti ad una vita dignitosa e libera.
E allora, come attuare questi dettati costituzionali? Semplice, con il reddito di cittadinanza. E qui si aprirebbe un’ulteriore discussione, sul merito, sulle coperture e su tanto altro. Ma di questo avremo occasione di parlarne in seguito.
© Franco Marcone 2015